Ci siamo di nuovo: alla Scuola Internazionale di Comics, questo venerdì, si è tenuto un nuovo seminario a tema manga. Seminario totalmente discorsivo tenuto dal buon
Andrea Baricordi, che sicuramente alcuni di voi ricorderanno per i suoi trascorsi in Star Comics. Ebbene si, vi posso assicurare che è una persona reale, esiste, e ha una memoria a breve termine persino più provata della mia (il che è tutto dire). Ma non indugiamo oltre e passiamo al riassuntino di queste tre ore, perché anche stavolta sono usciti alcuni spunti interessanti che nei precedenti seminari sul manga non si sono toccati.
Cenni StoriciIn realtà è un'operazione un po' artificiosa suddividere questo seminario in argomenti, in quanto si è trattato di un unico, lungo, discorso, ma cercherò di farlo per esigenze di sunto.
Anche in questo caso vi è stata una breve e sciolta introduzione sul significato del nome manga e sulle sue origini antiche, tenuta insieme dalla frase "il manga non esiste", che in realtà non significa altro che lo stile "manga" non è in realtà uno stile, come erroneamente viene catalogato dai più, ma semplicemente un termine da utilizzare quando si catalogano le produzioni di un certo paese, come usiamo "comics" per il fumetto americano o "europeo" per le nostre produzioni. Il manga ha comunque le sue caratteristiche, come un modo un pò diverso di raccontare le storie.
Infatti la differenza principale tra il fumetto nostrano e il manga è che l'origine è partita da due basi differenti. Il fumetto italiano ha avuto origine dall'illustrazione, mentre il fumetto giapponese deriva più che altro dal cinema.
E' stato Osamu Tezuka il primo a raccogliere le influenze dall'america e creare i manga odierni. Tezuka ha assorbito lo stile USA principalmente dai cartoni animati della sua epoca. Pensate ad esempio ad
Astro Boy: le sue proporzioni, così come la struttura della testa, sono praticamente le stesse di Mikey Mouse, ed essendo stato influenzato così tanto dalle produzioni americane, Tezuka ha cercato di applicare e riprodurre quegli stessi movimenti al fumetto. Nel farlo ha effettivamente inventato cose nuove.
E' stato infatti Tezuka a "montare" le tavole con modalità diverse dalle classiche 5 o 6 vignette, dando anche dei tagli inclinati alle stesse. Tutto questo per dare un ritmo narrativo che non fosse quello di x vignette con del testo appiccicato sopra. Nei suoi lavori ogni vignetta aveva un tempo preciso per essere letta, e di conseguenza anche tutta la pagina.
La velocità di letturaTutto questo cos'ha portato al fumetto manga? E com'è la situazione oggi? Ad anni di distanza, in cui si è sperimentato tanto e si è quindi imparato tanto?
Il fumetto giapponese è diventato un medium calibrato in maniera estremamente precisa per quanto riguarda i tempi di lettura. Gli editori hanno capito, dopo lungo sperimentare, che dopo un po' di tempo una pagina diventa noiosa e perciò, quella stessa pagina non deve durare al lettore più di un certo tempo. Questo comporta che non deve avere troppo dialogo, per mantenere sempre fresca l'attenzione di chi legge costringendolo a voltare pagina.
Intere riviste sono costruite seguendo rigorosamente questi canoni. Prendiamo ad esempio
Shonen Jump (che guardacaso Baricordi aveva portato per farci capire i punti del discorso che sto per spiegare). La sua versione settimanale è composta da circa 16 storie, ma se cronometriamo il tempo che ci si impiega per leggerle vedremo che è praticamente lo stesso per tutte.
Ma gli artifici non finiscono qui. Se prendete in mano Shonen Jump vi accorgerete di una cosa: il colore della carta (riciclata) delle pagine e del "nero" di stampa varia ad intervalli regolari. Le prime 2 storie sono stampate su carta rossiccia con inchiostro rosso scuro, poi si hanno un paio di pagine a colori (spesso pubblicita' di vario genere) e poi il colore cambia per altre 2 o 3 storie. Tutto questo per ravvivare l'attenzione del lettore dopo un certo tempo e "costringerlo" a continuare a leggere. Ovviamente la lunghezza della permanenza è stata calibrata in maniera certosina per essere una media che vada bene per la maggior parte delle persone.
Insomma velocità variabile nelle varie pagine, ma velocità complessiva dell'episodio che rimane sempre la stessa.
La questione culturaleE' importante notare che in giappone i fumetti non sono rivolti agli appassionati di fumetti, bensì agli appassionati di un certo argomento. Questo perché i giapponesi hanno un livello di alfabetizzazione che raggiunge quasi il 100% e quindi tutti leggono di tutto. Per questo le tirature dei fumetti nel paese del sol levante sono a livelli davvero eclatanti: si parla di 7 milioni di copie vendute per Shonen Jump, nel periodo di massimo successo, contro le 150.000 copie del fumetto di dragonball in terra nostrana, nel periodo di massimo boom per i manga.
Ed è così che in giappone può esistere una rivista di fumetti totalmente incentrata sul golf. Se dovesse nascere anche qui una cosa del genere, probabilmente, chiuderebbe al primo numero. Le varie case editrici sono arrivate a creare diverse riviste specializzate a seconda dell'età dei propri lettori. In parole povere, alle elementari corrisponde una rivista, in versione maschile e femminile, alle medie un'altra, sempre in due versioni e così via, fino all'università o ai primi lavori, con argomenti più maturi (personaggi che lavorano, pubblicità di automobili all'interno). Addirittura si era pensato anche a riviste di fumetto simili alle precedenti ma dedicate ai cinquantenni, anche se poi, alla fine, non sono state create realmente.
E qui si conclude la parte discorsiva del seminario. La parte successiva è stata dedicata ai concorsi per diventare fumettisti indetti dal giappone e sul perché è importante cercare di non scavalcarne le regole, oltre ad alcuni accorgimenti da tenere a mente nel caso si volesse tentare di partecipare, ma questa è un'altra storia.
Tuttavia la parte dedicata alle onomatopee ha generato un anedotto interessante, che arriva a spiegare per quale ragione le onomatopee nei nostri manga di fine anni ottanta e primi anni novanta fossero così strane.
Durante i primi anni novanta non si utilizzata Photoshop per modificare le onomatopee, venivano bensì modificate tutte a mano direttamente sulle pellicole di stampa. L'emulsione di stampa era solamente su un lato di questa pellicola, perciò questa veniva girata e, con cutter o lamette da barba, si grattava via il rumore originale per poi ricostruirlo a mano dal lato opposto con il rapidograph. Il problema qual'è? Molto spesso le onomatopee finivano su zone retinate, o su porzioni molto grandi di sfondo, e ricostruire un retino col rapidograph comportava il dover rifare a mano tutti i puntini. Operazione orribile e di impatto visivo estremamente pessimo. Perciò la soluzione era quella di riscrivere l'onomatopea in modo che stesse all'interno del tratto originale, con risultati molto strani: lettere quadrate, rumori inventati e quant'altro.
Perciò, molti nostri disegnatori che hanno visto le lettere fatte in questo modo hanno creduto, erroneamente, che questa fosse una "licenza di stile" tutta tipica del sol levante e ha quindi deciso di riprodurle in questo modo anche nei propri lavori. Sbagliando.
Spero che il riassunto sia stato interessante. A presto per altre fantastiche avventure...